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sabato 4 giugno 2011

Il PPR Sardegna - Per colpa di qualcuno non costruisce più nessuno.

A distanza di cinque anni dall'entrata in vigore del PPR, mi sembra lo "slogan" più azzeccato per definire questo strumento di pianificazione. Anche se in realtà sarebbe meglio - "non costruisce più nessun comune mortale" - perchè i veri divieti pendono sulla testa dei poverissimi agricoltori.
Partiamo dall'inizio - La fascia costiera.
Vorrei far presente a tutti che la fascia costiera, risorsa strategica e fondamentale, altro non è che il confine geografico tra i territori costieri di pianura e i territori montani.
Dunque la sua profondità rispetto alla linea di battigia marina è moto variabile e può arrivare spesso anche ben oltre 2 km.
Originariamente l'Amministrazione Regionale negava che il PPR ponesse limitazioni all'attività edilizia ma che era un semplice complesso di disciplina del territorio ispirato alla qualità del costruire, e che a tal fine era sufficiente seguirne la "filosofia" e niente sarebbe cambiato se non il fatto che avremmo dovuto ottenere il risultato di integrazione tra lo sviluppo edilizio e il paesaggio.
Queste dichiarazioni da subito hanno vacillato e la Regione si è vista costretta dunque a puntare il dito contro i Comuni - "non hanno capito niente, non sanno applicare il PPR, non è assolutamente vero che non si può costruire".
Risultato, siamno nel 2011 e ancora la situazione è paralizzata, anzi è peggiorata.
La fascia costiera racchiude al suo interno i terreni migliori per l'attività agricola, infatti per è impensabile che questa possa essere esercitata oltre tale fascia in quanto all'esterno vi sono solamente i territori montani.
E' giusto salvaguardare quest'area dall'espansionismo residenziale e tutelare l'agro dall'invasione del cemento, però se per fare ciò si deve vietare amche all'agricoltore (quello vero) di potenziare la sua azienda, che senso ha?.
Si è proprio così il PPR vieta non solo l'espansionismo residenziale ma anche quello agricolo (almeno dentro la fascia costiera).
Dunque non è possibile:
- avviare nuove aziende agricole a meno che non siate disposti a viaggiare spesso (non è possibile realizzare la casa colonica), a trasportare quotidianamente i prodotti, le attrezzature e tutto quanto occorra per la produzione, in capanni e costruzioni localizzate altrove in montagna (oltre la fascia costiera) o in zone artigianali e industriali, visto che è possibile realizzare esclusivamente "opere agro-silvo-pastorali in agro CHE NON ALTERINO PERMANENTEMENTE LO STATO DEI LUOGHI......".
Fa però sorridere che è possibile convertire le attrezzature e le costruzioni esistenti in agro, non più finalizzate alla coltivazione del fondo, per l'esercizio del turismo rurale.
E' curisoso come i funzionari regionali pubblicizzino questa possibilità come opzione adatta per l'agricoltore che voglia realizzare an'attività agrituristica.
Ciò è assolutamente fuori luogo:
1) il turismo rurale può essere esercitato solamente da operatori turistici iscritti nei rispettivi elenchi (non si capisce dunque come potrebbe farlo l'agricolatore - dovrebbe cambiare forse mestiere?);
2) l'agriturismo dovrebbe coadiuvare l'agricoltore nell'esercizio dell'attività e certamente la finalità non è quella di sostituire con esso la coltivazione del fondo (come invece è appunto la prerogativa del turismo rurale nel caso per esempio di aziende agricole fallitte);
3) perchè costringere l'agricoltore a sacrificare le costruzioni adibite alla lavorazione dei prodotti agricoli? - ma cos'è una punizione?
Per concludere, con un pizzico di malizia, avendo io personalmente poca fiducia nell'animo umano, credo proprio che per chi ha interesse questa sia la pianificazione più azzeccata in assoluto. Ben camuffata come norma paesaggistica che ha largo consenso (chi non è sensibile ai problemi ambientali?) ma che in realtà si sta rvelando nel complesso uno strumento di speculazione fondiaria senza precedenti.
Con questa morsa, gli agricoltori che già sentono fortemente la crisi, ben presto saranno costretti ad abbandonare i cambi e tutte le sovrastrutture che con tanto sacrificio hanno costruito.
A questo punto, i soliti ignoti, camuffatti da benefattori all'interno dei loro bei vestiti, si proporranno per rilevare l'azienda a quattro soldi (tanto non si può costruire).
Ben presto sapranno valorizzare l'azienda agricola dismessa trasformandola in un alberghetto o che sò....un bel centro benessere in piena zona agricola.
Certo non ci sarà consumo del territorio, ma a quel punto che senso avrà avuto il PPR se gli agricoltori smetteranno di coltivare?